E-Mail: redazione@bullet-network.com
- Uno studio del Censis rivela che tra il 20% e il 25% dei lavoratori utilizza quotidianamente strumenti basati sull'intelligenza artificiale.
- Entro il 2030, si prevede che circa il 27% delle ore lavorative in Europa saranno automatizzate, con il settore della ristorazione che potrebbe raggiungere il 37%.
- Il World Economic Forum stima che l'IA creerà circa 170 milioni di nuove posizioni lavorative a livello globale nei prossimi cinque anni, superando la potenziale perdita di 92 milioni di posti di lavoro.
Il dibattito sull’Intelligenza Artificiale (IA) e il suo impatto sul mondo del lavoro è animato da una dialettica costante tra potenzialità e preoccupazioni. Se da un lato si teme la scomparsa di alcune professioni, dall’altro si evidenzia la possibilità di una maggiore efficienza e la creazione di nuovi profili professionali.
L’IA nel mondo del lavoro: una panoramica
Un recente studio del Censis, in collaborazione con Confcooperative, ha evidenziato che una porzione di lavoratori, compresa tra il 20% e il 25%, già si serve quotidianamente di strumenti basati sull’intelligenza artificiale. In particolare, il 23,3% dei soggetti intervistati utilizza questa tecnologia per la composizione di email, mentre il 24,6% la sfrutta nella messaggistica istantanea. Un ulteriore 25% la impiega nella redazione di report formali, e una minoranza, pari al 18,5%, la utilizza per la creazione di curriculum vitae. Un dato interessante è la correlazione con l’età: i giovani dimostrano una maggiore apertura e propensione all’utilizzo di questi strumenti rispetto alle generazioni più mature.

Si prevede che, all’orizzonte del 2030, la quota di ore lavorative automatizzate nel continente europeo raggiungerà circa il 27%. I settori più esposti a questa trasformazione sembrano essere la ristorazione (37%), il supporto amministrativo (36,6%) e la produzione (36%). Diversamente, la sanità e il management appaiono meno suscettibili a tale impatto. Questa situazione rende cruciale una profonda riflessione sulle competenze che saranno richieste nel futuro lavorativo e sulla conseguente necessità di aggiornamento professionale dei lavoratori.
Opportunità e rischi: il punto di vista degli esperti
Nel panorama attuale, Anna Valenti, Founding Partner della Clutch, sottolinea l’influenza crescente dell’intelligenza artificiale sul processo di recruiting, con un utilizzo sempre più diffuso sia da parte delle aziende che dei candidati. Secondo quanto riportato da McKinsey (2024), circa il 60% delle aziende a livello globale impiega l’IA per migliorare la selezione dei curriculum vitae. Allo stesso tempo, un’analisi di Deloitte evidenzia che il 35% dei candidati fa ricorso a strumenti basati sull’IA per perfezionare e potenziare i propri profili professionali.
Non mancano, tuttavia, voci che invitano alla prudenza. Matteo Carion, direttore della Cna, pur riconoscendo i benefici che l’IA può apportare in termini di efficienza in alcuni contesti artigianali, mette in guardia sui possibili pericoli derivanti da un suo utilizzo smodato. Tale cautela è particolarmente rilevante in settori caratterizzati da forte creatività. Si teme, infatti, che un impiego eccessivo dell’IA possa generare una svalutazione delle professionalità fondamentali che andrebbero protette e valorizzate.
Il settore primario e la necessità di un salto culturale
Anche in agricoltura, l’IA può rivelarsi uno strumento prezioso per incrementare la sostenibilità e affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici. Tuttavia, come evidenzia Stefano Calderoni, presidente di Cia, si rende necessario un “salto culturale” nell’applicazione delle nuove tecnologie, considerando l’età media degli agricoltori e la frequente diffidenza nei confronti dell’innovazione.
Paolo Cavalcoli, direttore di Confagricoltura, mette in luce come l’IA possa assistere gli agricoltori nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità imposti dall’Ue, in particolare nel contesto della richiesta di una riduzione del 75% dei prodotti fitosanitari.
IA: un’opportunità da gestire con consapevolezza
Secondo le stime del World Economic Forum per i prossimi cinque anni, l’intelligenza artificiale creerà circa 170 milioni di nuove posizioni lavorative a livello globale. Di fronte a una potenziale perdita di circa 92 milioni di posti di lavoro, si prospetta comunque un saldo positivo di 78 milioni. Questi dati sottolineano non solo la capacità dell’IA di promuovere crescita economica e opportunità di impiego, ma anche la necessità di un approccio critico alla gestione delle sue implicazioni future.
In tale scenario, assume un ruolo centrale – come sostiene Ruggero Villani – mantenere l’elemento umano al centro della strategia di sviluppo. È fondamentale assicurare che l’intelligenza artificiale agisca principalmente a supporto dei professionisti, piuttosto che sconvolgere le dinamiche tradizionali del lavoro. I risultati di uno studio commissionato da Censis-Confcooperative evidenziano una crescente disparità di genere; particolarmente preoccupante è la maggiore vulnerabilità delle donne rispetto ai colleghi uomini: queste ultime, infatti, rappresentano il 54% della forza lavoro più a rischio di sostituzione automatica e costituiscono il 57% tra coloro che svolgono mansioni altamente complementari all’attività dell’IA.
Verso un futuro del lavoro più umano e sostenibile
L’avvento dell’intelligenza artificiale rappresenta un fenomeno dalle molteplici sfaccettature: come qualsiasi strumento tecnologico a nostra disposizione, non può essere etichettata a priori come positiva o negativa. Il suo impatto sul mondo del lavoro dipenderà dalle modalità di utilizzo adottate dall’umanità e dalla nostra capacità di adattarci ai cambiamenti che essa introduce. È essenziale promuovere iniziative focalizzate sulla formazione continua e sul riqualificazione delle competenze professionali, incoraggiando al contempo un utilizzo etico ed equilibrato dell’IA, affinché i benefici generati siano distribuiti in modo equo tra la popolazione.
Un aspetto fondamentale legato all’intelligenza artificiale è rappresentato dal machine learning, il quale permette agli algoritmi IA d’imparare dai dati disponibili, migliorando continuamente il loro funzionamento. Questa dinamica implica peraltro che, se gli input ricevuti sono distorti o insufficienti, c’è il rischio concreto per l’IA stessa di innescare un circolo vizioso capace di accentuare ulteriormente le disparità occupazionali già esistenti.
Ampliando la prospettiva, incontriamo una fase evolutiva dell’intelligenza chiamata explainable AI (XAI). Questo approccio si concentra sulla creazione di modelli artificiali accessibili alla comprensione umana, garantendo così una maggiore trasparenza nelle decisioni prese dall’intelligenza artificiale e consentendo l’identificazione tempestiva di pregiudizi o errori eventualmente presenti nel sistema. Questa tematica riveste una grande importanza nell’ambito professionale odierno, dove il potere decisionale dell’IA può influenzare profondamente la vita degli individui. È opportuno riflettere su quale traiettoria intendiamo imprimere al futuro del lavoro. Aspiriamo a un contesto in cui l’IA rimpiazzi la forza lavoro umana, generando disoccupazione e accentuando le disuguaglianze sociali? Oppure preferiremmo una situazione in cui l’IA agisca come supporto ai lavoratori, potenziandone le capacità e favorendo la nascita di nuove opportunità? Le risposte a tali quesiti risiedono nelle nostre mani; emergono dalle scelte consapevoli che compiano ogni giorno.
Ottimo articolo! Mette in luce sia le opportunità che i rischi dell’IA nel mondo del lavoro, senza cadere in facili allarmismi. L’accento sulla formazione e riqualificazione è fondamentale.
Mah, tutta ‘sta paura dell’IA mi sembra esagerata. Chi sa adattarsi troverà sempre il suo posto. I lavori cambiano, è sempre stato così.
Certo, l’IA creerà nuovi posti di lavoro… ma quali? E chi potrà accedervi? Servono competenze avanzate che molti non hanno. La disuguaglianza aumenterà.